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La funzione simbolica del tappeto

Anche questa pagina, come la precedente, vuole offrirvi uno sgurdo il piu`ampio possibile sulla funzione dei simboli nei tappeti. Ho ritenuto che non potesse esserci impostazione migliore se non quella di Eskenazi studioso di arte orientale, profondo conoscitore dei tappeti e direttore artistico del museo di arte orientale di Londra.

Nelle innumerevoli raffigurazioni dell’antichità, negli affreschi buddhisti centro-asiatici, nei dipinti cinesi e e giapponesi, nelle thangka tibetane, nelle miniature illustranti le epopee islamiche, nelle pitture medievali e rinascimentali, la divinità, il mistico, il saggio, lo sciamano, il re, l’eroe, il guerriero e in genere tutti i personaggi siano essi divini o umani, rappresentativi del potere sacro o secolare, appaiono quasi invariabilmente raffigurati assisi o eretti su un’area circoscritta, una superficie determinata, che li differenzia e li separa dal resto dell’immagine, piattaforme in legno o in pietra scolpite o dipinte, pelli di animali, feltri, tessuti preziosi o tappeti vengono in genere impiegati per ribadire ed esaltare la loro eccezionalità, la loro legittimità al potere e alla venerazione. E quindi evidente la funzione di spazio sacro attribuita e assolta dal tappeto, indipendentemente dal valore simbolico dei disegni che lo decorano.


memling Memling


Il ruolo particolare che riveste il tappeto è quindi da ricercare nella natura stessa di manufatto concepito e costruito dall’uomo e nella specifica funzione che assolve in tutte le regioni produttrici di tappeti. Per la società primitiva che lo inventò esso era una conferma delle possibilità umane. Limitato da dimensioni predeterminate, strutturalmente complesso ma al contempo effimero, tinto con coloranti ingegnosamente ottenuti dalla natura, ornato da disegni compositi corrispondenti a precisi concetti, connotato da una superficie liscia e regolare, il tappeto si differenzia immediatamente dal terreno su cui è poggiato: una superficie irregolare, discontinua, infinita che determina la condizione dell’uomo, ma non gli appartiene. La differenza è quindi evidente e chiara, automatica l’associazione tra il tappeto e uno spazio speciale.

(vorrei ricordare la mia definizione di tappeto:
Il tappeto è uno speciale tessuto manufatto artigiano concepito come spazio sacro di un universo simbolico ed è generalmente destinato all’arredamento.)

Un proverbio persiano rammenta: “Il mio tappeto è la mia casa.” Più della tenda o dell’abitazione, sia per il nomade che per l’abitante di villaggio o città il tappeto rappresenta le radici, l’appartenenza ad una comunità. Delimita gli spazi e ne evidenzia l’uso, isola dal freddo, è un luogo di riunione e di raccoglimento e soprattutto è depositario dell’arte che racconta delle origini, credenze e tradizioni del suo creatore. Sul tappeto caldo, colorato, familiare, egli dimentica il deserto che circonda la tenda, la polvere e il fango attorno alla casa. È quindi automatico che il tappeto assolva una funzione simbolica di luogo eccezionale, ribadita da disegni e da colori appropriati. Uno spazio sacro, magico, che va salvaguardato e difeso come un santuario che in arabo si dice bast, da bastan, “racchiudere, cintar”. Anche il tappeto va racchiuso, cintato, isolato. Nasce Ia bordura.

La Bordura


Bordura Bordura di un Hamadan antico


Se come si è potuto constatare il campo interno del tappeto è da considerarsi una rappresentazione simbolica del divino, del mondo dello spirito sconfinato e senza tempo, è logico interpretare la bordura rettangolare, conchiusa e definita come una rappresentazione figurativa della dimensione umana e del tempo reale. Graficamente questa concezione viene suggerita dai motivi ripetitivi che di regola ornano le cornici dei tappeti i cui elementi ritmicamente ricorrenti e in successione continua ricordano l’ordinato svolgersi del tempo. Di conseguenza non è improbabile che l’alternanza di motivi chiari e scuri comune in molti esemplari stia ad indicare il susseguirsi del giorno e della notte. Per rappresentare il fluire del tempo una delle metafore più ovvie e diffuse nei tappeti orientali è il tralcio infinito da cui germogliano ad intervalli regolari foglie e fiori. Spesso veniva talmente stilizzato da risultare illeggibile lasciando solamente fiori e foglie rivolti in direzione alternata.


motivi di bordura


Nei tappeti cinesi compare di sovente un motivo a svastiche, antico simbolo solare, unite tra loro ad indicare il trascorrere infinito dei giorni. Il bordo riferito al tempo contrasta l’atemporalità del campo interno simboleggiante il paradiso in una combinazione del finito con l’infinito, del temporale con lo spirituale, ricreando un modello dell’universo concepito nella maggioranza delle credenze asiatiche quale paradiso oltre il cielo e separato dal mondo terrestre da un mitico Portale Celeste. Poiché la bordura del tappeto serviva da cornice attraverso la quale si intravedeva il paradiso, era logico considerarla alla stregua del Portale Celeste.


motivi di bordura


Così come il tappeto marcava simbolicamente il punto di transizione tra il mondo umano e quello dello spirito, così la bordura era il punto ai transizione tra il mondo spirituale (o un suo riflesso terrestre) e il mondo degli uomini e cioè la casa o la tenda attorno ad essi. A questo concetto di Portale celeste va accomunato quello del “collare di nubi’ che verrà analizzato in seguito, formato da quattro motivi sinuosi cosiddetti “fascia di nubi”. D’importazione cinese, queste ultime decorazioni appaiono anche nelle bordure dei tappeti anatolici e persiani almeno dal XVI secolo a ribadire il ruolo della cornice ed in seguito in verrioni sempre più stilizzate sia nella bordura che nel campo di esemplari di varie provenienze a dimostrazione della loro graduale perdita di significato. Riveste un ruolo simile alla «fascia di nubi» un elemento somigliante a un trifoglio o meglio all’emblema araldico del giglio ripetuto nelle bordure degli antichi esemplari caucasici, anatolici o del Turkestan orientale. Stilizzazione della «fascia di nubi» oppure motivo sviluppatosi autonomamente, si riscontra con grande frequenza in versione rimpicciolita nelle produzioni ottocentesche spesso cristallizzato in un elemento simile a una punta di freccia romboidale detto Medachyl o addirittura ridotto a un semplice triangolo. Appartengono a questo gruppo di motivi anche il cosidetto "cane che corre". Oltre ad essere ripetuti, questi elementi sono sempre disposti specularmente rivolte ora all’interno ora all’esterno e alternate in due colori, l’uno chiaro, l’altro scuro.


Bordura cane che corre Esempio di bordura a cane che corre in un tappeto Seikhur Seiqur caucasico del XIX sec


Queste decorazioni non sono solo un’immagine del Portale Celeste, ma ci riportano anche al concetto di difesa del campo interno, di bordura intesa come barriera magica. Quelle rivolte verso l’esterno erano infatti simbolicamente intese a tenere lontano le forze e gli spiriti negativi, mentre quelle dirette internamente avevano la funzione di trattenere le forze energetiche vitali emanate dal campo interno. Lo stesso effetto era ottenuto con I’arternarsi di fiori o altri motivi sempre disposti nelle due direzioni.

Anche la parola scritta appare con frequenza nella bordura come risulta evidente dal motivo che ricorda ia scrittura cufica riscontrabile negli antichi frammenti selgiucidi e nei tappeti raffigurati in alcune miniature. ilkhanidi nonché nei numerosi esemplari più tardi. Nei tappeti safavidi e nelle riprese ottocentesche sono invece tradizionali interi versi del corano, Il nome di Allah e altre iscrizioni spesso incluse all’interno dei tipici cartigli che scandiscono la cornice. La cosiddetta scrittura “pseudo-cufica” è un motivo decorativo basato sull’antico stile di scrittura cufica. È la ritmica ripetizione di elementi senza significato simili a lettere. Alcuni autori ravvisano nella sequenza basso-alto-basso una schematizzazione della parola Allah. al («il») ,lah («Dio») e cioè l’alternanza di una lettera piccola ( a ) a una lunga ( l ) simboliche del rapporto mistico tra l’uomo e Dio.

Nell’antichità Ia scrittura, simbolo del verbo divino, quindi della dottrina e della conoscenza era privilegio degli eletti e dei saggi. Le scritture sacre rappresentavano I’unicità del messaggio divino primordiale, e come tali erano investite di poteri magici ed esoterici.

La parola scritta era di conseguenza usata non soltanto nei tappeti ma in altri manufatti appartenenti a varie culture. I numerosi influssi positivi attribuiti alle lettere agivano dunque anch’essi da barriera magica e da protezione del campo interno. Il volo degli «uccelli» è in tutte le culture metafora evidente della relazione tra cielo e terra. La sua presenza nella bordura dei tappeti è quindi naturale elemento di congiunzione tra il mondo circostante e la rappresentazione del cielo del campo interno. Uccelli realistici o houri (spiriti alati appartenenti alla mitologia islamica) sono infatti raffigurati con frequenza nei bordi dei tappeti safavidi posti frontalmente o appaiati e in versioni estremamente geometrizzate nei tappeti caucasici e turkmeni. “La «leggerezza” dell’uccello è intesa come la liberazione dalla “pesantezza” terrestre. AIlo stesso modo esso è simbolico dell’anima oppure dei poteri intellettuali che si distaccano dal corpo: il volo dell’anima e il volo estatico dello sciamano. L’uccello perciò è anche simbolico del mondo celeste che si oppone al serpente, immagine del mondo terrestre, ed appare quindi nel campo interno del tappeto come avremo modo di constatare in seguito. Soprattutto nei tappeti caucasici ottocenteschi sono ricorrenti interpretazioni estremamente geometriche di coppie di uccelli dal becco adunco rivolto alternativamente verso l’interno e verso l’esterno ad assolvere la stessa funzione protettiva degli elementi speculari sopra descritti. In questo caso ci si deve collegare all’antica mitologia dell’uccello rapace assai diffusa sia nel Centro Asia tra i turkmeni, sia in numerose altre culture. In genere l’uccello rapace per eccellenza e` l’aquila, il re degli uccelli, simbolo di coraggio, di potere indipendente, e di conseguenza di protezione. Talvolta la coppia è sostituita da un unico uccello bicipite, le cui due teste simboleggiano il rafforzamento dell’autorità e il dualismo nell’unicità, metaforico di potere supremo. Si giunge così al diffuso culto dell’Uccello Solare. Compare soprattutto nel bordo, ma anche nel campo di tappeti turkmeni ,caucasici, anatolici e persiani, un motivo formato da un elemento centrale in genere un albero, affiancato da uccelli o altri animali dell’articolato significato simbolico. Realizzato anche realisticamente, questo motivo viene il più delle volte stilizzato, geometrizzato oppure trasformato in un elemento floreale quasi irriconoscibile. In questo senso è quindi possibile che la maggior parte dei motivi decorativi formati da un elemento centrale grande o piccolo che sia, affiancato da due elementi uguali, potesse derivare da questo antico simbolo o che comunque avesse origine da un’identica matrice simbolica. Risulterebbero quindi delle strette analogie con la «fascia di nubi», il “trifoglio”in tutte le sue versioni e di conseguenza anche con i motivi floreali quali l’herati, il tulipano stilizzato affiancato da foglie dentellate. In questo contesto merita un discorso a parte il cosidetto motivo “cufico”. Se si analizzano Ie sue prime versioni nonché quelle più tarde risulta evidente come esso sia formato da un disegno centrale affiancato da due elementi identici posti frontalmente che soprattutto nel frammento selgiuchide non si faticherebbe a riconoscere come uccelli. Era una abitudine piuttosto diffusa nelle civiltà antiche che l’artista usasse a scopo decorativo e senza dubbio talismanico le lettere dell’alfabeto o più frequentemente motivi simili, in quanto di solito era analfabeta. Riguardo alla scrittura cufica questa era ad esempio la prassi nella decorazione delle ceramiche smaltate persiane dell’XI/XIII secolo. Non è quindi improbabile che coloro che hanno concepito il motivo "cufico" abbiano sovrapposto, trasformandolo, l’antico simbolismo dell’albero e uccelli a quello della parola scritta sia per un fatto di moda sia per accrescere maggiormente il valore metaforico del motivo.

Il campo: I’universo

L’uomo primordiale ipotizzò la conformazione dell’universo, luogo d’interazione tra l’uomo e gli dei, attraverso l’osservarione dei fenomeni naturali. La superficie terrestre gli sembrò piatta ed estesa all’infinito ,nelle quattro direzioni, nord-avanti, sud-dìetro, est-destra, ovest-sinistra in rapporto alla conformazione fisica del proprio corpo. Il cielo invece, soprattutto se osservato da un punto sopraelevato, gli parve curvo, una cupola che si congiungeva alla terra ai “confìni del mondo”. Inoltre contemplando il movimento degli astri, il cielo gli parve ruotare attorno ad un asse,identificato ora con la stella polare, ora con il sole inteso metafisicamente, ora con un punto centrale qualsiasi. In questa visione naturale, simbolica e poetica dell’universo si innestò conseguentemente quella dell’axis mundi, l’asse attorno al quale ruota il cielo e che al contempo funge da elemento unificatore dei tre livelli a cui abbiamo accennato. Ciò permetteva anche l’ascesa o la discesa di spiriti, uomini e dei. All’estremità superiore dell’axis mundi, all’ “entrata del cielo” era collocato il portale Celeste che consentiva l’unione con il divino e attraverso il quale quest’ultimo si manifestava sulla terra. Come vedremo in seguito, l’axis mundi venne identificato ora Come un albero gigantesco, ora Come una montagna, un palo; il Portale Celeste Come il sole metafisico impersonificato dall’Uccello Solare, dal “collare di nubi” e da altri simboli.

In Asia (ma anche nel resto del mondo) i modelli simbolici dell’universo nei quali si realizza questa fusione tra l’umano e il divino sono presenti a tutti i livelli. Nei luoghi di culto la conformazione dell’universo è suggerita architettonicamente come nel caso degli stupa buddhisti e delle moschee islamiche, ambedue formati da una struttura quadrata sormontata da una cupola dalla quale si eleva una guglia, oppure, nei templi hinduisti, da rappresentazioni del Monte Sacro. Soprattutto nel mondo islamico anche la costruzione dei palazzi destinati ai sovrani era concepita come un universo in miniatura, in modo tale da ribadiie il sacro diritto all’autorità e la speciale protezione concessa al regnante dal potere divino. Di conseguenza, anche l’oy la tenda a volta dei nomadi centro-asiatici connotata da un lucernario centrale, assumeva Io stesso significato di rappresentazione, e così pure al palo che regge il tetto delle abitazioni delle genti sedentarie veniva trasmesso il ruolo di centralità, di axis mundi. Il modello dell’universo è presente negli altari, nei troni, nei vestiti dell’autorità spirituale e temporale, negli oggetti rituali è logicamenie anche nei tappeti eletti a luoghi sacri.

L'albero

L’albero, che fornisce cibo, rifugio, legno per il fuoco e per la costruzione delle abitazioni e degli utensili, è stato investito in tutte le culture fin dall’antichità di una miriade di significati simbolici; nei tappeti ricorre in moltissime versioni accomunabili dalla generica denominazione di “albero della vita”. La sua vigorosa crescita è simbolica di vita e armonia naturale. La ciclica caduta e ricrescita delle foglie, delle gemme, dei fiori e dei frutti è emblematica del carattere ripetitivo e perpetuo dell’evoluzione cosmica, della morte e della rigenerazione. La sua crescita intesa come ascesa verso il cielo e la sua conformazione l’hanno reso un’ideale rappresentazione della comunicazione tra i tre livelti cosmici. Le sue radici affondano in quello sotterraneo, il suo tronco e i rami inferiori si sviluppano sulla terra, il cielo è raggiunto,dai suoi rami più alti. Per questa ragione l’Uccello Solare simbolo del Portale Celeste e “del sole metafisico” appare talvolta raffigurato sulla sua cima anche nei tappeti.

L'albero è anche rappresentativo della vita dello spirito, della diffusione della dottrina (il tronco) attraverso l’operare di santi e mistici (i rami). E` lacatena generazionale, simbolo della crescita della famiglia, della citta`, della nazione. Ma è soprattutto quale metafora di fertilità, fecondità e fonte di vita che viene raffigurato nei tappeti in quanto l’albero cresce nei pressi dell’acqua così preziosa nelle regioni semidesertiche che connotano gran parte delle aree produttrici di tappeti. Per questa ragione è anche una manifestazione del paradiso islamico e appare in genere carico di fiori e frutti nei tappeti con impianto a nicchia. Negli esemplari safavlli, nelle riprese ottocentesche ma anche nei tappeti del Turkestan Orientale l’albero è spesso sostituito da un vaso fiorito dal quale si dirama un intreccio di rami costellati da frutti, anch’esso posto in relazione alla fertilità. La sua forma infatti suggerisce quella del seno materno, dell’utero nel quale si forma una nuova esistenza, ricettacolo di vita e forza aperto verso le influenze celesti. Collegabile al concetto dell’«albero della vita» è il cosiddetto albero waq-waq dai rami oppure dai frutti animati. Le numerose e antiche versioni leggendarie della sua origine, diffuse in tutta l’Asia, narrano di un albero posto al centro di un’isola i cui rami terminano con teste umane, di animali o di esseri fantastici urlanti "wq-waq", da cui il nome. Allegorico della forza vitale “dell’albero della vita” così impetuosa e selvaggia da far esplodere la cornice vegetale, è diffuso soprattutto nelle miniature persiane e fece la sua comparsa nei tappeti safavidi e nelle riprese ottocentesche, caratterizzato anche da animali in combattimento.


Bordura cane che corre Bakhtiari ad albero della vita stilizzato


L'albero e i due uccelli

Come già menzionato, l’albero affiancato da due uccelli che si fronteggiano, sostituiti talvolta da altri animali o alberi più piccoli compare nel campo interno di diversi tappeti e in altri manufatti appartenenti a numerose culture. Questa simbologia conosciuta fin dal IV millennio a.C. si collega al concetto di albero come axis mundi, gli uccelli sono rappresentativi delle anime dei defunti che ascendono o discendono ai vari livelli cosmici, oppure della forza spirituale dello sciamano. I due uccelli stanno anche ad indicare la dualità dell’anima individuale contrapposta allo spirito universale o coscienza pura ed altre dicotomie naturali e sociali (simtroleggiate anche dagli animali in combattimento) Tra queste, l’uomo e la donna e la rigenerazione attraverso il maltrimonio e di conseguenza la fertilità, l’aspetto distruttivo e rinnovatore dell’intervento celeste.

Il motivo dell’albero e dei due uccelli compare già nel cosiddetto tappeto di Marby attribuito al XV secolo e in altri antichi esempi anatolici nonché in versione naturalistica nei tappeti di corte safavidi, ove l’albero, a volte un clpresso, è spesso fiorito e gli uccelli sono di regola pavoni, pappagalli o altri volatili multicolori.Negli antichi tappeti del Caucaso il motivo è rimpiazzato dai classici draghi affiancanti una palmetta e viene ripreso in tipologie ottocentesche quali i “Kazak” Ganjé, gli “Akstafa” Karabagh, i “Chila”, e i “Prepedil”. Come già accennato, e` diffuso anche negli ertmen delle tribu` turkmene dei Chador e negli asmalyk ed ensi Teke, compare anche con minor frequenza anche nei tappeti anatolici del XIX secolo.


Medaglione centrale in un tappeto Tabriz Hajji Jalili Medaglione centrale in un tappeto Tabriz Hajji Jalili


Il "collare di nubi" e il medaglione centrale

Il Portale Celeste che circoscrive l’axis mundi viene rappresentato tra l’altro frequentemente con un motivo formato da un cerchio dal quale si irradiano in direzioni opposte quattro elementi simili alle stilizzazioni di nuvole che compaiono nell’arte cinese ed importate in Medio Orientetra il XIII e il XVI secolo. In Cina questo motivo era conosciuto come yun jian o «collare di nubi» un’evidente metafora del Portale Celeste alto nel cielo e circondato da nubi attraverso il quale si raggiunge il divino. Se in origine questo elemento fosse stato la stilizzazione dell’Uccello solare dalla testa bicipite o i quattro uccelli metaforici delle quattro stazioni solari, non è possibile confermarlo, ma neanche escluderlo. Comune in Cina già nel periodo Han (206 a.C. – 220 d.C) ma di origine probabilmente anteriore, il “collare di nubi” compare su un vasto numero di oggetti dagli specchi rituali alle scatole per cosmetici, ai vasi, ai dipinti buddhisti, alle sculture. Funge da collare nelle vesti cerimoniali dei potenti considerate in Cina fin dalla antichità come rappresentazioni dell’universo. Il sovrano, il cui collo e la cui testa passano attraverso il “collare di nubi”, diventa quindi per analogia l’axis mundi, il rappresentante del potere divino sulla terra. Alla stessa maniera gia`dal XIII e XIV secolo i mongoli usavano circondare con il «collare di nubi» il lucernario delle loro Oy intese anch’esse come metafore dell’universo, in modo da ribadire e invocare la protezione divina. II «collare di nubi» è quindi ricorrente anche nei tappeti cinesi e soprattutto in quelli da colonna usati nei monasteri buddhisti. Anche questi esemplari erano infatti metafore dell’universo, dominati dal drago simbolo delle forze naturali e avvolti attorno alle colonne che allegoricamente assumevano il ruolo di axis mundi. Il «collare di nubi» viene anche raffigurato in versioni aventi otto, dodici, sedici «trifogli» anziché gli originari quattro soprattutto nei manufatti persiani, ove la sua comparsa attorno al XV secolo sull’onda delle reciproche influenze tra Cina e Persia. Lo si ritrova rappresentato al centro delle cupole delle moschee persiane e turche, sulle copertine in cuoio e nei manoscritti miniati, nei tappeti. Come caratteristico dell’arte islamica assume spesso un aspetto speculare: i «trifogli» radianti verso l’esterno ne formano di identici rivolti verso l’interno a sottolineare il luogo di incontro tra l’emanazione dell’energia divina e le anime dei morti che ritornano all’origine. Scomposto in «trifogli singoli ripetuti infinitamente fa la sua comparsa, come già detto, nei bordi principali dei tappeti. Concomitante all’introduzione del “collare di nubi” nel repertorio ornamentale islamico (a cui si sovrappone come si vedra il loto, anch’esso di origine estremo orientale), è l’apparizione nel XV secolo dell’impianto a medaglione centrale ni tappeti di corte Persianl. Sviluppatosi con risultati raffinatissimi in Persia durante il regno safavide, questo schema compositivo si diffondera` anche in Anatolia negli esemplari di Ushak” per poi diventare nei secoli successivi uno degli impianti più diffusi e preferiti in tutte le produzioni. Che il significato di Portale Celesie (e per estensione di axis mundi) del “collare di nubi” fosse già noto ai Persiani e` implicito dal ruolo di centralità conferitogli e dal fatto che a esso si associò il concetto centro-asiatico di sole metafisico, come dimostrano i quattro caratteristici elementi angolari (i Portali Solari) che tradizionalmente lo accompagnano e i due grandi e complessi pendenti aggiunti inferiormente e superiormente al medaglione centrale a simboleggiare il sole e la luna, come ad esempio nel celebre tappeto di Ardabil.


Medaglione Centrale Medaglione centrale


Il loto e I’impianto a tre medaglioni

Come già menzionato, il loto a otto petali (il numero universalmente connesso al concetto dell’equilibrio”cosmico), il simbolo buddista dell’ illuminazione spirituale sede della divinita` e luogo di tutta la creazione, è anch’esso stato associato all’idea di axis mundi, di luogo elevato. Di conseguenza nelle antiche raffigurazioni cinesi tende a unirsi e confondersi graficamente con il “collare di nubi”. Per cui una distinzione tra i due è all’origine quanto mai difficoltosa. Con la dinastia mongola degli Yuan (1279-1368) però una differenziazione tra i due elementi si fa piu` netta come dimostrano soprattutto alcuni vasi in porcellana bianco/blu la cui imboccatura è circondata dal “collare di nubi” e la cui base è ornata dagli otto petali del fiore di loto che sembrano quindi sostenere il vaso. Con gli Yuan si sviluppa anche uno stile che era iniziato precedentemente sotto i Tang (618-906),e nel quale viene data un’enfasi particolare all’ornamentazione, soprattutto ai gioiellialle gemme preziose ed alle perle che compaiono con grande dovizia nelle acconciature nelle vesti e nei fiori di loto che fungono da piedistalli alle divinità raffigurate nelle pitture e nelle sculture dell’epoca. J Thompson con una chiara esposizione suggerisce come gli ottagoni dal contorno ornato da piccole gemme, modificatisi in seguito in piccoli cappi o uncini e contenenti una stilizzazione del fiore a otto petali, siano derivati dall’antico simbolismo del loto. Questi motivi, riscontrabili già in alcuni tappeti anatolici del XVI e XVII secolo (e in un certo senso riconoscibili negli elementi ottagonali che contraddistinguono gli esemplari raffigurati nelle miniature ilkhanidi e timurridi), appariranno in seguito rei tappeti di tutte le provenienze. Anche se in alcuni casi i ganci scompaiono e sli otto elementi subiscono metamorfosi stilistiche molto complesse la teoria e` senzaltro plausibile dato che gran parte delle popolazioni centro-asiatiche migrate in Medio Oriente erano originariamente di religione buddhista. A convalida di questa “probabile connessione con l’ iconografia buddhista è interessante notare come questi elementi ottagonali nei primi esemplari conosciuti siano canonicamente ripetuti nel numero di tre, un impianto ritrovabile in seguito non solo nei tappeti anatolici prodotti da gruppi di provenienza centro-asiatica e soprattutto nelle sacche turkmene e nei tappeti del Turkestan Orientale, la regione più ricettiva per motivi storici, culturali e geografici alla influenza del buddhismo. Già H. Bidder con grande cognizione di causa e chiaroveggenza ipotizzava che i tre elementi che di regola ornano i tappeti del Turkestan Orientale fossero una rappresentazione schematica della tradizionale iconografia buddhista raffigurante il Buddha storico affiancato dai suoi due discepoli. A conferma di questo, l’elemento centrale si differenzia in genere da quelli laterali sia per la dimensione, sia per la colorazione, sia per il disegno. Se ciò fosse vero allora la fascia di contorno che abitualmente circoscrive i tre elementi ottagonali negli antichi esemplari anatolici, trasformata in seguito nello schema a “preghiera” con rientranza e riconoscibile nei tappeti ottocenteschi e caucasici i cosidetti “Sevan” non sarebbero altro che la schematizzazione della bassa balaustra che nelle pitture e nelle sculture buddhiste tradizionalmente demarca e limita il luogo sacro riservato alle divinità. J. Thompson riporta la descrizione tramandataci dal grande viaggiatore arabo Ibn Battuta che ospite nel 1334 alla corte di nomadi centro-asiatici narra che il sovrano Mohamed Ozbeg secondo le norme di un rigido cerimoniale, lo accolse assiso sopra un cuscino al centro di una enorme piattaforma coperta da un tappeto e affiancato a destra e a sinistra dalle due figlie anch’esse sedute su cuscini. In tutto l’Oriente un grande rilievo era conferito al cerimoniale di corte dove ogni personaggio aveva una particolare posizione a seconda del proprio rango. Nonostante il fatto che Mohamed Ozbeg si fosse convertito all’Islam e` evidente che egli mantenne ( e probabilmente tramando`) l’antica disposizione formale buddhista in accordo con la diffusa concezione che il sovrano e` controparte terrestre del potere divino. Risulta naturale quindi che questa disposizione si estendesse anche ai tappeti.

Riassumendo, appaiono con impressionante ricorrenza nei tappeti poligoni in di tutte le provenienze poligoni in genere ottagonali (ma anche esagonali e romboidali) dal contorno ornato da ganci suddivisi all’interno in quattro quarti e decorati da quattro a otto motivi posti a raggiera attorno ad un elemento centrale. Ciò dimostra chiaramente che questa disposizione nasce e si sviluppa da concezioni simboliche universali simili tra loro (il sole e l’Uccello Solare, il «collare di nubi» e il loto) che attraverso i secoli si sono sovrapposte e completamente amalgamate tra loro.

L’ubiquità del centro

In base alla concezione islamica di indefinibilità e perpetuità del divino, ogni luogo e quindi ogni tappeto e per estensione ogni elemento decorativo possono essere investiti simbolicamente della funzione di centro della manifestazione o del contatto con il divino. Questo concetto fondamentale è ribadito diffusamente nei tappeti con la ripetizione infinita del medesimo o di simili ornamenti spesso floreali interrotti dalla bordura e suggerito dalla presenza lungo il perimetro interno di motivi dimezzati che sembrano continuare oltre la cornice. Lo stesso accade nell,impianto a medaslione centrale la cui apparente staticità e completezza è annullata dai medaglioni angolari che lo accompagnano, interrotti dalla bordura che sembra quindi incorniciare un particolare di un andamento infinito di medaglioni, di centri, di luoghi “elevati”. A quest a concezione simbolica si sovrappone.spesso quella del paradiso, il giardino dell’Eden rappresentato dall’articolata e simmetrica ripetizione di fiori e piante, ognuno ai essi a loro volta metafora del ”centro”.

Il giardino

Essendo il campo interno del tappeto designato a rappresentare metaforicamente il paradiso, è naturale e logica l’incredibite e quasi ossessiva ricorrenza nei tappeti (soprattutto persiani) di fiori e piante simbolici dei giardini dell’Eden. Non a caso le radici etimologiche della parola paradiso derivano dall’antico persiano pairidaeza, da pairi “attorno” e daeza “muro”. L’antica universale idea di un giardino cintato in modo da contenere le energie vitali che vi fioriscono, isolato e contrapposto al terreno generalmente arido e inospitale che connota buona parte delle regioni medio-orientali, ricco di fiori, alberi, frutti, animali,acqua e profumi, ordinato e perpetuo, e` radicatissima e pervade tutta l’arte e la cultura islamiche che gli conferiscono significati non solamente cosmici ma anche metafisici e mistici. L’amore per il giardino e` il tema centrale della visione del mondo islamico. Affermazione di civilta`, ricchezza, e al contempo la matrice, l’oasi, l’isola a cui fare ritorno e che offre freschezza, ombra e rifugio. Citato ripetutamente nel Corano, celebrato dai poeti, costruito da famosi architetti ( resti di antichi giardini sono comuni in tutto l’Oriente), coltivato anche dagli stessi sovrani, il giardino doveva essere ordinato, perfetto, in maniera da soddisfare il fondamentale bisogno di ordine della mente umana e da rispecchiare l’ordine universale. Come rappresentazione idealizzata dell’universo compare nei tappeti cosiddetti a “giardino” suddiviso in quattro parti ( le quattro direzioni, i quattro quartieri, i quattro giardini dell’Eden) dai quattro fiumi della vita intersecantesi nella fontana centrale, in genere ottagonale, simbolica del “centro”. L’universo, quindi, visto come in pianta, dall’alto o forse meglio come se si rilettesse dal cielo sulla terra. Il giardino ideale doveva contenere precise specie di fiori, piante e alberi da frutto, colori e profumi, a ognuno dei quali venivano conferiti diversi significati simbolici. Questa visione idealizzata si manifesta nell’arte islamica e quindi nei tappeti con una denaturalizzazione ( concetto fermamente ribadito dalla legge coranica) che porta spesso alla totale astrattizzazione di fiori piante ed animali.

L’impianto a «preghiera»

Gran parte dei concetti simbolici sopra descritti trovano una tra le più complete espressioni nei celebrati tappeti da «preghiera» collegati al culto islamico.

Oltre alla propria metaforica purificazione, un ritorno allo stato primordiale d’innocenza, implicita nelle abluzioni rituali che il fedele deve compiere precedentemente alle cinque orazioni quotidiane, la legge coranica prescrive un “luogo sacro” ove effettuarle, uno spazio “puro” che isoli il credente e lo “elevi” dal suolo e, per esteisione, lo “elevi” dalla situazione fisica e mentale in cui si trova. Ad assolvere questa funzione vengono generalmente usati i tappeti, non necessariamente ornati dall’impianto che analizzeremo in seguito, ma impiegati solo per questo scopo. Qualsiasi oggetto quindi, da una stuoia a un tessuto, ad un pezzo di cartone, puo` assolvere lo stesso ruolo solo se non “contaminato” da altri usi. La superficie prescelta a luogo di preghiera diviene quindi un santuario trasportabile, a suo modo la moschea, simbolo di appartenenza alla propria fede ovunque e con chiunque il musulmano si trovi. È forse per questo motivo che una particolare raffinatezza nella costruzione e un inusuale ricercatezza ornamentale erano riservate ai tappeti da preghiera. Il prostrarsi in direzione della Mecca (quibla) sta quindi a indicare un ritorno al centro, una unione spirituale tra il fedele e la dottrina in ordine con l’arrnonia cosmica.

A questa funzione di direzionalità si adegua perfettamente il classico impianto (detto appunto a preghiera), composto da una volta architettonica in genere sorretta da colonne laterali di forma simile alla nicchia o placca inserita nel perimetro di tutte le moschee ad indicare la direzione della Mecca, il mihrab. La sua configuraiione deriva dall’antico simbolismo cosmico nel quale l’arco superiore è metafora della volta celeste e la base della terra. Al contempo il mihrab si collega al portale Celeste, la sacra caverna, il “cuore”, luogo di apparizione della divinità in numerose religioni (basti pensare a Gesù neonato o alle divinità hindu inscritte in un arco).

E` nel “cuore”, nel centro, che la persona pura trova rifugio per invocare e ricevere il conforto divino.

Mihrab in arabo significa appunto rifugio, ed è a questa concezione e a tutti i concetti simbolici che ne derivano a qui bisogna riferirsi e non unicamente alle similitudini di questa forma con l’elemento architettonico sopra menzionato come spesso sostenuto in vari testi. Il mihrab nei tappeti a “preghiera” è quindi anche simbolico del Portale Celeste, del Cancello della Conoscenza attraverso il quale si accede alla saggezza divina. Come già descritto, questo concetto trova una delle sue figurazioni più diffuse nel «collare di nubi» e negli elementi che lo compongono o «fasce di nubi».

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